La storia del clown in sei personaggi

La storia del clown in sei personaggi

La figura clownesca ha affascinato da sempre non solo i grandi del teatro, ma anche i letterati, i musicisti e i registi (soprattutto di film horror). Oggi analizzeremo l’evoluzione della figura del pagliaccio nel panorama culturale attraverso sei personaggi che hanno fatto la storia del clown.

1- Arlecchino

Dovete sapere che il “profilo” del clown è stato ricalcato sull’onda del servo della Commedia dell’Arte per antonomasia: Arlecchino. Pensate che il primissimo clown “teatrale” (dotato di parola) viene interpretato da Joseph Grimaldi nei primi anni dell’Ottocento. Grimaldi per tutta la vita, prima di occuparsi del clown, pensate un po’, aveva costruito la sua carriera sul ruolo di Arlecchino. La costruzione del personaggio del performer britannico, fortemente influenzata dal lavoro sulla Commedia dell’Arte, influenzò l’intero lavoro sul clown nei secoli a venire.

2- Chocolat

Dalla seconda metà dell’Ottocento iniziarono ad avere successo le esibizioni clownesche “a coppia”. L’effetto comico si basava sull’interazione di un clown “Augusto” e un clown “Parlatore”. Il parlatore era quello “intelligente”, mentre l’augusto era quello più stupido, più sottomesso. A Parigi la coppia di pagliacci più in voga era costituita da Chocolat (pseudonimo del cubano Raphael Padilla) e Georges Footit. Footit era il parlatore, mentre Chocolat era un augusto di colore: probabilmente il primo professionista nero della storia del teatro in Europa. Padilla, infatti, non era né schiavo, né soggetto a Footit: i due erano soci d’affari e colleghi. Il film Mister Chocolat, diretto da Roschdy Zem, racconta che, verosimilmente, il duo ebbe successo solo perché Padilla, che era nero,  interpretava il clown “sottomesso” della coppia. L’effetto comico non avrebbe funzionato allo stesso modo se i ruoli si fossero invertiti, nella Francia dell’Ottocento.

3- Jacques Lecoq

Sempre in Francia, sulla scia di Chocolat e Footit, iniziano i primi studi pedagogici sul clown “personale”. Esponente di questi studi è il maestro Jacques Lecoq. La sua teoria era infatti che ciascun attore potesse sviluppare, ad un certo punto, un clown basato sulla “parodia di se stesso”. Questo è un lavoro davvero profondo, perché costringe il pagliaccio a guardarsi da fuori e ad accentuare gli aspetti della propria fisicità che, magari, nella vita di tutti i giorni sceglieremmo di correggere o eliminare per sembrare, invece, più belli e interessanti. La parola “clown” infatti viene dall’islandese klunni, e vuol dire “buffo”.
Accentuare i difetti ci rende goffi, e la goffaggine ci rende divertenti. L’attore che lavora sul clown impara a dominare con sincerità i propri difetti, senza auto giudicarsi, può rendere la propria goffaggine un divertimento per qualcuno che osserva.

4- Canio

Nell’Opera lirica Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, il personaggio di Canio è un clown che incarna perfettamente la dicotomia tra uomo e personaggio. Nell’aria Vesti la giubbaCanio ricorda a se stesso che quella sera il pubblico pagherà del denaro perché vuole ridere. Canio ha il cuore spezzato per via di un tradimento, sta piangendo disperato, ma deve mettere la giubba, dipingersi la faccia e trovare la forza di rendersi ridicolo proprio di fronte a coloro che lo hanno tradito.

Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto
In una smorfia il singhiozzo e il dolor, ah!
Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto
Ridi del duol che t’avvelena il cor.

Questa è la tragica condizione del clown. Il ruolo guadagnerà notorietà e particolare spessore emotivo grazie all’interpretazione leggendaria del tenore Enrico Caruso, il quale sarà il primo tenore lirico a piangere vere lacrime sul palcoscenico (e sarà questo che ispirerà la famosa canzone Caruso di Lucio Dalla).

Caruso con addosso gli abiti del pagliaccio Cani
Caruso con addosso gli abiti del pagliaccio Canio

5- Charlot

Una declinazione clownesca più malinconica è senza dubbio Charlot: il pagliaccio moderno ideato e interpretato da Charlie Chaplin. Nonostante l’assenza del naso rosso, Charlot ha un abbigliamento ben riconoscibile: pantaloni larghi, giacca stretta, bombetta in testa, bastoni in mano e gli iconici baffi che fungono un po’ da “maschera”. Charlot è un vagabondo, uno straccione di strada che integra nella sua buffa goffaggine la malinconia e la tragicità intrinseca della figura clownesca. Il pubblico finisce per ridere del proprio essere una figura estremamente maldestra, dell’immutabilità della sua condizione e degli sciocchi tentativi che egli mette in atto per migliorare la sua condizione sociale. Charlot è il bisnonno di figure come Fantozzi e Pierrot Le Fou, ma anche del duo Bud Spencer e Terence Hill (che riprenderà anche la dinamica Augusto-Parlatore) e in generale di tutta la comicità iconica del cinema che lo seguirà.

6- Joker

Saltiamo a piedi pari Pennywise e Killer clown from other space per andare direttamente al mondo del cult. Joker, l’antagonista di Batman a Gotham, dipinto nei fumetti come un autentico maniaco pazzo. Nel film Joker (che ha fatto vincere l’Oscar a Joaquim Phoenix nel 2019) viene mostrato come la figura del clown altro non sia che la metafora della reiettitudine. Questa rappresenta l’esasperazione di un disagio che porta l’individuo a soffrire e, allo stesso tempo, da parte di chi lo circonda, a ridere di lui. Nella versione del Cavaliere oscuro, invece, il  Joker di Heath Ledger si infligge delle cicatrici ai lati della bocca per dimostrare di avere sempre il sorriso, trasformando la maschera del clown nel suo “costume da supercattivo”. Joker rappresenta a pieno come la figura del clown, da divertente declinazione circense dell’Arlecchino, oggi si sia evoluta in una maschera tragica, a tratti horror e a tratti pirandelliana.

Il clown, nella cultura pop, altro non è che la tragica maschera che indossiamo ogni giorno, dell’ipocrisia, dell’istrionismo narcisistico della società e del dolore che ciascuno di noi è costretto a sopprimere per mantenere, ogni giorno, i buoni rapporti con gli altri.

 

 

 

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